consulente integrale

Il consulente integrale

Il consulente integrale: di cosa stiamo parlando? 

 

Siamo ormai abituati a considerare il settore privato come la vera fucina di ricchezza e innovazione e la misura ultima del suo successo in ciò che viene definitivo shareholder value. L’idea che le imprese ricoprano il ruolo di attori produttivi all’interno dell’economia è servita sinora a giustificare alti introiti e grande creazione di ricchezza. (Pensiamo ad esempio alle grandi aziende della Silicon Valley tra gli anni 90 ed i primi 2000).

Apparentemente in controtendenza, negli ultimi anni molte aziende (non esclusivamente negli Stati Uniti) si sono scoperte purpose-oriented. Non solo cioè legate alla creazione di valore per gli shareholder, ma anche per tutto ciò che è racchiuso nella definizione di stakeholder. 
Un concetto – che circola da parecchio tempo nei consigli di amministrazione e nelle business school- suggerisce che settore pubblico, comunità locali, realtà filantropiche ricoprano un ruolo attivo e quindi possano e debbano beneficiare delle decisioni aziendali.

>> Una linea di pensiero che considera possibili e necessarie considerazioni che vadano al di là degli investitori e dei leader aziendali.

Eppure il valore degli stakeholder, così come la responsabilità sociale d’impresa (CSR) e delle strutture ambientali, sociali e di governance (ESG) è stato svuotato, privato del suo senso dalla ricorrenza eccessiva e dalla scarsa azione. Per poter parlare effettivamente di creazione di valore per gli stakeholder è necessario invertire la tendenza del settore finanziario e delle imprese ad investire e reinvestire esclusivamente per se stesse.

ll valore creato non è (equamente) ridistribuito

 

Quando le aziende si riferiscono allo stakeholder value spesso lo inquadrano come mezzo per raggiungere un fine: un modo produttivo e morale per aumentare il valore per gli shareholder.  Si tratta di un ragionamento destinato a non andare molto lontano.

Per due motivi almeno:

  1. il settore finanziario tende ad investire in gran parte in finanza, assicurazioni e immobili, cioè su di sé invece che in innovazione ed infrastrutture. Per costruire un reale approccio multistakeholder, il settore finanziario deve essere trasformato in modo da poter creare valore per tutti.
  2.  Le aziende che esulano dal settore finanziario non investono a sufficienza in capitale umano, macchinari, ricerca e sviluppo.

 

La combinazione di questi due fattori mette in svantaggio la maggior parte della società. L’insufficiente reindirizzamento della finanza verso economia reale e lavoro continua ad allargare il divario tra chi detiene il capitale e chi non lo possiede.

Quindi, sebbene si sia spesso parlato di obiettivi sociali e responsabilità delle imprese, queste due tendenze rendono difficile pensare che il settore privato abbia a cuore lo scopo sociale.

Ripensare a come creare valore

 

Per ripensare attivamente al ruolo che le imprese dovrebbero svolgere nella società, aziende e governi devono riconsiderare radicalmente la creazione di valore nelle economie capitaliste. Chi lo crea, chi lo estrae e cosa accade quando l’estrazione viene premiata rispetto alla creazione?
Il reale impegno dei confronti degli stakeholder richiede che lo scopo sia messo al centro della definizione del valore, nelle imprese e nei governi.

Le sfide contemporanee sono certamente impegnative, non prevedono solo cambiamenti tecnologici ma anche cambiamenti sociali, normativi e comportamentali. Non esiste un modo univoco e semplice per affrontare problemi complessi come la crisi climatica o la disuguaglianza sociale. Né l’innovazione tecnologica può costituire l’unica risposta ai problemi epocali di natura socio economica, che sollevano profondi interrogativi su giustizia sociale, sicurezza economica, stabilità politica.
Per affrontare tutto questo sono necessarie una cooperazione globale e una strategia industriale chiaramente definita.

Come deve agire e a quali linee guida deve ispirarsi il consulente?

 

Un buon punto di partenza sono i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile del 2015, sottoscritti da più di 100 paesi (Agenda 2030). Sembrerà scontato, ma meglio sottolinearlo: non si può chiedere al solo settore pubblico o al solo privato di risolvere problemi legati a obiettivi come la disoccupazione giovanile o il raddoppio del tasso globale di miglioramento dell’efficienza energetica. 

Più in piccolo, cosa possiamo fare ogni giorno?

 

Un’azienda, un consulente, un professionista esperto possono contribuire ad invertire questa rotta. In che modo?
Ci ispiriamo al recente discorso – rivolto dal Papa ai partecipanti all’incontro Deloitte Global – per tre spunti:

RESPONSABILITÀ DI SCELTA 

Coltivare la consapevolezza di poter lasciare un segno nella direzione di uno sviluppo umano integrale.
Competenze, conoscenze e relazioni di un consulente costituiscono un patrimonio immateriale imprescindibile, per aiutare altri manager, imprenditori, consulenti a prendere le decisioni migliori per il futuro. Ogni singolo ed ogni organizzazione ha la possibilità di orientare le scelte, influenzandone i criteri, valutandone le priorità per le aziende. Alla consapevolezza di poter indirizzare le scelte, deve accompagnarsi la volontà di considerare analisi e proposte coerenti con “l’ecologia integrale”.

RESPONSABILITÀ CULTURALE 

Prendere atto ed esercitare la propria responsabilità culturale, derivante dalla rete di connessioni, mantenendo adeguata qualità professionale e la giusta qualità etica ed antropologica. Ovvero, essere in grado di valutare gli effetti diretti ed indiretti delle decisioni, l’impatto sulle attività e sulle comunità, sulle singole persone, sull’ambiente.

VALORIZZARE LA DIVERSITÀ 

Tutta la “biodiversità imprenditoriale” creata dall’uomo, se eticamente gestita, ha il diritto di poter salvaguardare e sviluppare la propria identità. A garanzia della libertà di impresa e della libertà di scelta di clienti, consumatori, risparmiatori ed investitori, ma anche come condizione indispensabile di stabilità, equilibrio e ricchezza umana.

Un passo alla volta

 

Un consulente può impostare le proprie analisi e proposte secondo uno sguardo e una visione integrali, ricordando la forte connessione tra il valore economico e sociale, il lavoro dignitoso, la cura per l’ambiente, l’impatto positivo sulla società.

Il consulente integrale è chiamato a dare nuovi indirizzi per rispondere alle sfide contemporanee, tenendo conto delle connessioni tra i problemi e le loro soluzioni ed accogliendo il concetto di antropologia relazionale, quale disciplina in grado di «aiutare l’uomo a riconoscere la validità di strategie economiche che mirino anzitutto alla qualità globale della vita raggiunta, prima ancora che all’accrescimento indiscriminato dei profitti…» 

Il presente economico, basato su consumi eccessivi, sta per cedere il passo a quello emergente, votato all’inclusione, alla cura, al benessere. 

Noi siamo pronti, e voi?

Credits: HBR